Spetta al paziente dimostrare la colpa del medico in un presunto caso di malasanità. Il principio è stato ribadito dalla I Sezione civile del Tribunale di Milano, in una nuova sentenza (n.1430 del 2 dicembre) relativa a un’accusa di danno subito da un bambino sottoposto a intervento neurochirurgico. Il Tribunale, sottolinea l’Ordine dei medici meneghino, “ha riconfermato precedenti sentenze secondo le quali il medico, anche quando opera all’interno di una struttura, non ha un rapporto ‘contrattuale’ con il paziente. Pertanto, se dall’atto medico discende un danno, l’onere della prova spetta al paziente e la prescrizione è quinquennale. Al contrario il paziente continua ad avere con la struttura un rapporto di tipo contrattuale da ‘contatto sociale’, e quindi spetta alla struttura provare il proprio corretto adempimento e la prescrizione è decennale”. 

“In altri termini – osserva l’Omceo milanese – in base alla corretta interpretazione della legge Balduzzi del 2012, non è più il medico a dover provare la propria correttezza professionale, ma è il paziente che deve provare la colpa del medico”. L’orientamento della I Sezione civile del Tribunale di Milano era già finito sotto i riflettori delle cronache nell’ottobre scorso, dopo un pronunciamento relativo a un paziente che aveva denunciato di avere subito danni alle corde vocali nel 2008. La sentenza era stata definita “storica” da Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei medici, chirurghi e odontoiatri di Milano. 

Anche in questo caso, spiega oggi, “si tratta di una sentenza che, riconfermando l’orientamento del Tribunale di Milano, e tenuto conto dell’orientamento opposto finora manifestato dalla Corte di Cassazione, concorre a fare giurisprudenza. Queste sentenze, nel momento in cui diventassero orientamento corrente della Magistratura a livello nazionale, tutelerebbero meglio sia i pazienti e sia il servizio sanitario pubblico, perché farebbero venir meno alcune delle ragioni della cosiddetta ‘medicina difensiva’”. 

“A fronte di precedenti sentenze particolarmente onerose, che hanno fatto lievitare i premi assicurativi – ricorda infatti Rossi – molti medici non si sono più limitati a praticare solo le linee guida e le buone pratiche accreditate dalle comunità scientifica, ma si sono ‘difesi’ richiedendo esami diagnostici non necessari per il paziente e particolarmente onerosi per il servizio sanitario, oppure si rifiutano di trattare i casi più complicati e a rischio denuncia”. Il fenomeno, secondo i dati del Ceis Tor Vergata, costa in Italia “10 miliardi di euro all’anno: circa lo 0,75% del Pil, una somma di poco inferiore a quanto investito dallo Stato in R&S”.

In questo caso, riporta il presidente dell’Ordine dei medici di Milano sulla base di informazioni ricevute dalla categoria, il Tribunale milanese si è pronunciato su una struttura e due sanitari dopo un intervento neurochirurgico con esiti di danno permanente al 95% su un bambino con sindrome di Chiari, condannando l’ospedale e il medico che non ha prescritto un’analisi post-operatoria più accurata. Ma ha assolto il medico di turno che, di fronte a un peggioramento del paziente, ha somministrato un calmante. Per lui la struttura dovrà pagare 16 mila euro di spese legali, mentre per la famiglia è stato disposto un risarcimento di oltre 2 milioni di euro. 

Commentando la sentenza resa nota in ottobre, l’ex ministro della Salute Renato Balduzzi, che da legislatore era intervenuto nel 2012 con una norma di ‘alleggerimento’ della colpa lieve del medico, aveva spiegato: questi pronunciamenti vanno letti “come una sollecitazione alla Cassazione a riconsiderare la giurisprudenza in materia”, oltre che “come una conferma della fondatezza dei motivi che hanno portato all’intervento legislativo del 2012. Noi non volevamo sovrapporci alla giurisprudenza – aveva commentato all’AdnKronos Salute – ma piuttosto sollecitarla a trovare un equilibrio tra tutti i valori in gioco nella medicina difensiva”.

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