I dirigenti medici che siano titolari del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, come i direttori di struttura complessa, hanno il diritto, una volta cessato il rapporto di lavoro, a vedersi corrisposta l’indennità sostitutiva per ferie non godute, qualora il mancato esercizio di detto potere e quindi la non fruizione del periodo di riposo, siano dipesi da necessità aziendali eccezionali ed obiettive, ostative alla suddetta fruizione, ed in ogni caso indipendenti dalla volontà del lavoratore.


In questi termini, si è pronunciata la Corte di Appello dell’Aquila, con la recente sentenza del 20 novembre 2014, accogliendo il ricorso presentato da un dirigente medico responsabile di struttura complessa di una Asl, assistito dai legali Anaao, avverso la sentenza emessa dal Giudice del Lavoro, la quale aveva rigettato il ricorso in prima istanza.

Nella fattispecie in oggetto, l’appellante ha provato di aver più volte e inutilmente denunciato ai vertici della ASL la condizione di grave carenza di organico del personale medico della struttura complessa da lui diretta, nonché di aver predisposto (in tempo utile, prima del suo pensionamento) un piano di fruizione delle ferie residue che l’Amministrazione non ha prontamente autorizzato, determinando così l’impossibilità di godere delle ferie maturate prima della cessazione del rapporto di lavoro.

Su tali basi, il Collegio dopo aver richiamato il principio costituzionale di irrinunciabilità del diritto alle ferie (art.. 36 Cost.) e la normativa contrattuale applicata alla dirigenza medica (art. 21, Ccnl 5.12.1996), ha affermato che il divieto di monetizzazione delle ferie non godute non può considerarsi assoluto, nel senso di proibire radicalmente il pagamento del compenso sostitutivo laddove l’impossibilità del godimento delle ferie non sia attribuibile in alcun modo alla volontà del lavoratore, ma piuttosto a carenze organizzative o a comportamenti omissivi dell’amministrazione.

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