Cassazione Penale – Eventuale responsabilità della guardia medica che rifiuti di effettuare una visita domiciliare richiesta – Non risponde del reato di omissione di atti di ufficio (art. 328 c. p.) il medico che, durante il turno di servizio di guardia medica, anziché recarsi di persona a visitare al domicilio un paziente che lamenta problemi respiratori, si limiti a prescrivere per telefono le normali terapie farmacologiche di contenimento della patologia segnalata, potendo egli valutare discrezionalmente se effettuare o meno la visita domiciliare. (Sentenza 10130/15)

FATTO: Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Ancona, in riforma della pronuncia assolutoria emessa il 29/09/2010 dal Tribunale di Fermo, ha condannato M.R. alla pena, condizionalmente sospesa, di sei mesi di reclusione per il reato di omissione d’atti d’ufficio ( art. 328 cod. pen. ) ed all’interdizione temporanea di un anno dai pubblici uffici, oltre alle statuizioni in favore della parte civile costituita, V.E..Al M. è contestato, nella sua qualità di sanitario di turno nel servizio di guardia medica, di essersi rifiutato di effettuare una visita domiciliare in favore di un anziano paziente, nonostante i sintomi riferiti deponessero per la manifestazione di una polmonite lombare media al polmone destro e di essersi invece limitato a prescrivere, per telefono, le normali terapie farmacologiche di contenimento della patologia segnalata. Accogliendo l’appello del PM e sovvertendo le valutazioni del primo giudice, la Corte d’Appello di Ancona ha, infatti, ritenuto che le indicazioni ricevute dall’imputato dalla moglie del paziente fossero tali da definire esattamente il quadro di una sintomatologia che imponeva l’effettuazione di più adeguati approfondimenti diagnostici, da eseguire mediante esame clinico diretto che solo la visita domiciliare richiesta poteva assicurare. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, deducendo plurimi motivi di censura. Come primo motivo, si duole del fatto che nel pronunziare sentenza di condanna, la Corte d’Appello di Ancona abbia svolto una vera e propria valutazione di natura medica, senza tuttavia procedere a perizia affidata ad un esperto nel settore, bensì argomentando in assenza di supporto scientifico su di un tema su cui il primo giudice si era pronunziato in maniera esattamente opposta e parimenti, se non di più, argomentata e dettagliata. Si deduce, inoltre, erronea applicazione dell’art. 328 cod. pen. in relazione ai molteplici elementi probatori, anche di segno diverso, emersi nel corso del dibattimento; alla configurabilità del reato solo quando l’omissione riguardi un atto indifferibile il cui mancato compimento comporti un pregiudizio irreparabile per il paziente, nella specie non determinatosi.

DIRITTO: Secondo la Corte territoriale, infatti, se la necessità e l’urgenza di effettuare una visita domiciliare sono rimesse alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia ai sensi dell’ art. 13 del d.P.R. n. 41 del 25 gennaio 1991, nondimeno questa non può prescindere dall’esatta conoscenza del quadro clinico del paziente, acquisita dal medico proprio attraverso la richiesta di indicazioni precise circa l’entità della patologia dichiarata. La Corte di Cassazione ha affermato che nel caso in esame, non viene in discussione il principio, correttamente ricordato dalla Corte territoriale, secondo cui è sanzionabile il comportamento del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca, in maniera pretestuosa o aprioristica, ad una richiesta di intervento domiciliare urgente, quando la situazione prospettata sia connotata da risvolti di inequivoca gravità, come tale integrante la necessità della relativa esecuzione quale atto indifferibile ai sensi dell’art. 328, comma 1, cod. pen. La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione è, anzi, in genere concorde e costante nel ravvisare il reato, affermando contestualmente il principio che l’esercizio del potere – dovere del medico di apprezzare la necessità o meno della visita domiciliare ai sensi dell’art. 13.comma 3, d.P.R. n. 41 del 1991 è pienamente sindacabile da parte del giudice sulla base degli elementi di prova sottoposti al suo esame, mentre le pronunzie dissonanti sono per lo più determinate dalla peculiarità della vicenda processuale considerata. La Corte di Cassazione rileva quindi che la decisione della Corte d’Appello non affronta, inoltre, un punto cruciale della vicenda processuale, costituito dall’obbligatorietà dell’atto che s’impone al pubblico ufficiale ove questi disponga di uno spazio di discrezionalità scientifica per valutare l’opportunità o la necessità di compierlo; nè fornisce, infine, una diversa lettura
dell’unica deposizione testimoniale significativa, quella cioè resa dalla moglie della parte offesa V.E., che anzi mostra di interpretare sostanzialmente allo stesso modo del giudice di primo grado, ritenendo per di più irrilevante l’aspetto – invece reputato fondamentale dal Tribunale – dell’individuazione delle precise indicazioni da costei al ricorrente circa i sintomi avvertiti dal coniuge. La Corte di Cassazione annulla senza rinvio la decisione di condanna del giudice di secondo grado. (Marcello Fontana-Ufficio Legislativo FNOMCeO)

Cassazione Penale Sentenza Sezione 6 Num. 10130 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: VILLONI ORLANDO
Data udienza: 20/01/2015
Depositata in Cancelleria: 10/03/2015
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Ancona, in riforma della pronuncia
assolutoria emessa il 29/09/2010 dal Tribunale di Fermo, ha condannato M.R. alla pena,
condizionalmente sospesa, di sei mesi di reclusione per il reato di omissione d’atti d’ufficio
( art. 328 cod. pen. ) ed all’interdizione temporanea di un anno dai pubblici uffici, oltre alle
statuizioni in favore della parte civile costituita, V.E..
Al M. è contestato, nella sua qualità di sanitario di turno nel servizio di guardia medica, di
essersi rifiutato di effettuare una visita domiciliare in favore di un anziano paziente,
nonostante i sintomi riferiti deponessero per la manifestazione di una polmonite lombare
media al polmone destro e di essersi invece limitato a prescrivere, per telefono, le normali
terapie farmacologiche di contenimento della patologia segnalata.
Accogliendo l’appello del PM e sovvertendo le valutazioni del primo giudice, la Corte
d’Appello di Ancona ha, infatti, ritenuto che le indicazioni ricevute dall’imputato dalla
moglie del paziente fossero tali da definire esattamente il quadro di una sintomatologia
che imponeva l’effettuazione di più adeguati approfondimenti diagnostici, da eseguire
mediante esame clinico diretto che solo la visita domiciliare richiesta poteva assicurare.
Secondo la Corte territoriale, infatti, se la necessità e l’urgenza di effettuare una visita
domiciliare sono rimesse alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia ai sensi
dell’ art. 13 del d.P.R. n. 41 del 25 gennaio 1991, nondimeno questa non può prescindere
dall’esatta conoscenza del quadro clinico del paziente, acquisita dal medico proprio
attraverso la richiesta di indicazioni precise circa l’entità della patologia dichiarata.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, deducendo plurimi motivi di
censura. Come primo motivo, si duole del fatto che nel pronunziare sentenza di condanna,
la Corte d’Appello di Ancona abbia svolto una vera e propria valutazione di natura medica,
senza tuttavia procedere a perizia affidata ad un esperto nel settore, bensì argomentando
in assenza di supporto scientifico su di un tema su cui il primo giudice si era pronunziato in
maniera esattamente opposta e parimenti, se non di più, argomentata e dettagliata.
La necessità di tale strumento di verifica s’imponeva in quanto il caso in esame presenta
la caratteristica che al pubblico ufficiale – medico è riservato un ambito di discrezionalità
tecnico – scientifica circa l’opportunità di porre in essere o meno un determinato atto del
suo ufficio, tant’è che il consulente della difesa sentito in primo grado aveva attestato che
in assenza di indicazioni del sintomo delle difficoltà respiratorie del paziente,
legittimamente era stata valutata non necessaria la visita domiciliare.
Il ricorrente deduce, inoltre, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, per essere la Corte d’Appello giunta a conclusioni diametralmente opposte di
quelle del Tribunale di Fermo senza minimamente confutare il passaggio logico – giuridico
seguito dal giudice a quo.

Si deduce, inoltre, erronea applicazione dell’art. 328 cod. pen. in relazione ai molteplici
elementi probatori, anche di segno diverso, emersi nel corso del dibattimento; alla
configurabilità del reato solo quando l’omissione riguardi un atto indifferibile il cui mancato
compimento comporti un pregiudizio irreparabile per il paziente, nella specie non
determinatosi; all’assenza di dolo, non avendo il ricorrente mai nutrito la consapevolezza
di aver omesso o rifiutato un atto dovuto, ma anzi la sicurezza di aver correttamente
valutato la situazione prospettatagli, ritenendo in scienza e coscienza non necessaria la
visita domiciliare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2. Nel caso in esame, non viene in discussione il principio, correttamente ricordato dalla
Corte territoriale, secondo cui è sanzionabile il comportamento del sanitario in servizio di
guardia medica che non aderisca, in maniera pretestuosa o aprioristica, ad una richiesta di
intervento domiciliare urgente, quando la situazione prospettata sia connotata da risvolti di
inequivoca gravita, come tale integrante la necessità della relativa esecuzione quale atto
indifferibile ai sensi dell’art. 328, comma 1, cod. pen.
La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione è, anzi, in genere concorde e costante
nel ravvisare il reato, affermando contestualmente il principio che l’esercizio del potere –
dovere del medico di apprezzare la necessità o meno della visita domiciliare ai sensi
dell’art. 13.comma 3, d.P.R. n. 41 del 1991 è pienamente sindacabile da parte del giudice
sulla base degli elementi di prova sottoposti al suo esame (Sez. 6, sent. n. 23817 del
30/10/2012, Tomas, Rv. 255715; Sez. 6, sent. n. 12143 del 11/02/2009, Bruno,
Rv.242922; Sez. 6, sent. n. 31670 del 05/06/ 2007, Montilla, Rv. 236935;Sez. 6, sent. n.
34047 del 14/01/2003, PM in proc. Miraglia, Rv.226594; Sez. 6, sent. n. 8837 del
21/06/1999, Tedeschi, Rv. 214676; Sez. 6, sent. n. 11683 del 18/03/1988, Bevilacqua, Rv.
179822), mentre le pronunzie dissonanti sono per lo più determinate dalla peculiarità della
vicenda processuale considerata (v ad es. Sez. 6, sent. n. 2892 del 27/11/1985, Calegaris,
Rv. 172432).
3. Il punctum dolens della questione, chiaramente evidenziato dal ricorrente con il secondo
motivo d ricorso, riguarda, invece, il fatto che la sentenza d’appello non indica elementi
probatori specifici pretermessi dal primo giudice nè pone in rilievo aspetti particolari da
quello non considerati.
Oltre tutto – ed anche tale profilo ha costituito specifico motivo di censura del ricorrente – la
Corte territoriale non ha ritenuto neppure di procedere a perizia medico – legale, evenienza
che avrebbe comportato la possibilità di disporre di quell’elemento di valutazione
aggiuntivo, integrato dalle indicazioni fornite da un esperto della professione medica, atto
eventualmente a consentire un difforme apprezzamento rispetto a quello operato dal
giudice di primo grado.
La decisione non affronta, inoltre, un punto cruciale della vicenda processuale, costituito
dall’obbligatorietà dell’atto che s’impone al pubblico ufficiale ove questi disponga di uno
spazio di discrezionalità scientifica per valutare l’opportunità o la necessità di compierlo;
nè fornisce, infine, una diversa lettura dell’unica deposizione testimoniale significativa,
quella cioè resa dalla moglie della parte offesa V.E., che anzi mostra di interpretare
sostanzialmente allo stesso modo del giudice di primo grado, ritenendo per di più
irrilevante l’aspetto – invece reputato fondamentale dal Tribunale – dell’individuazione delle
precise indicazioni da costei al ricorrente circa i sintomi avvertiti dal coniuge.
4. In altri termini, la motivazione svolta della Corte territoriale non ottempera ai requisiti
delineati dalla giurisprudenza, progressivamente affermatasi, di questa Corte di
Cassazione per assolvere a quell’obbligo di motivazione rafforzata, atta in quanto tale a
derogare al principio di valutazione generale dell’oltre ogni ragionevole dubbio dettato
all’art. 533 c.p.p. , comma 1, apparendo anzi sotto diversi aspetti meno dettagliata e più
semplicistica di quella, anche quantitativamente più ampia, svolta dal Tribunale di Fermo.
La sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve, infatti,
confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo
giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità
sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado,
anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello
e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella
della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione
accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6, sent. n. 6221 del
20/04/2005, Aglieri ed altri, Rv. 233083; conformi Sez. 5, sent. n. 35762 del 05/05/2008,
P.G. in proc. Aleksi e altri, Rv. 241169; Sez. 5, sent. n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo,
Rv. 242330; Sez. 5, sent. n. 8361 del 17/01/2013, PC in proc. Rastegar, Rv. 254638; Sez.
6, sent. n. 39911 del 04/06/ 2014, P.G. e Scuto, Rv. 261589).
In caso poi di acquisizione di ulteriore materiale probatorio oppure di valutazione di quello
preesistente però sfuggito all’analisi del primo giudice, il giudice d’appello deve porlo in
correlazione con quello vagliato nel primo grado di giudizio, al fine di offrire una nuova e
compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez.
6, sent. n. 46742 del 08/10/2013, P.G. in proc. Hamdi Ridha, Rv. 257332; Sez. 6, sent. n.
1253 del 28/11/2013, PG in proc. Ricotta, Rv. 258005).
5. Dal momento che non si rinvengono nella motivazione della decisione impugnata quei
necessari passaggi argomentativi – uniti ad una ragionata valutazione di elementi probatori
eventualmente pretermessi o alla evidenziazione di aspetti cruciali non considerati dal
giudice di primo grado (v Get the facts. supra) – atti a sostenere in maniera convincente il sovvertimento
della decisione del Tribunale, ne discende la necessità di ritenere congruo ed appropriato
l’apprezzamento della fattispecie operato in primo grado, sfociato nella formula assolutoria
piena per insussistenza del fatto.
4. All’accoglimento del ricorso nei termini sopra indicati consegue l’annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Roma, 20 gennaio 2015.
Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2015

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